Antropologia & Arte

Un curioso scambio d’identità: la tela del B. Kazotic è di S. Agostino d’Ippona!

Anche quest’anno, dal 31 luglio al 3 di agosto, si è celebrato il triduo e la festa in onore del B. Agostino Kazotic (Trogir, 1260 c.- Lucera, 1323), italianizzato Casotti, il grande vescovo domenicano di origini croate che resse la diocesi di Zagabria (1303-1322) e poi quella di Lucera (1322-1323), per circa dieci mesi, di cui è in corso il processo di canonizzazione.

Per l’occasione è stato finalmente esposto al culto, fresco di restauro, il busto ligneo con il capo in argento del 1563, al cui interno è custodita la reliquia del teschio del Beato.

Mancava all’appello la tela settecentesca -attribuita sempre al Kazotic- esposta all’interno della sacrestia del duomo angioino, per il cui restauro era stata organizzata, circa un anno fa, una meritoria raccolta fondi dalla delegazione del FAI di Foggia.

Quella tela mi incuriosiva da tempo, e mi chiedevo se avesse un qualche fondamento la tradizione a cui quasi tutti si appellavano -sia laici che consacrati- per sostenere che in essa vi fosse effigiato il vescovo croato.

Per una curiosa coincidenza, proprio durante il triduo, mi è capitato di trovare sul web un’immagine digitale della tela che, sottoposta ad attenta analisi, mi avrebbe consentito di fare chiarezza sull’identità del santo.

Tela di S. Agostino
La tela di S. Agostino presso la sede del Circolo Unione, nella serata di presentazione dell’iniziativa promossa dal FAI ( Lucera, 18.10.2013)

In essa è rappresentato un vescovo dalla fluente barba grigia, con mitra dorata sul capo, che indossa una tonaca con ampie maniche e cappuccio neri, tipici dell’ordine agostiniano, su cui spicca una croce pettorale d’oro. Sulle spalle ha un piviale bianco foderato di rosso, ricamato con un motivo a racemi dorati, e chiuso sul davanti da un prezioso fermaglio d’oro con una gemma incastonata, color verde smeraldo. Il santo è seduto su una sedia (di cui si intravede lo schienale), stringe tra le dita della mano destra una penna d’oca, con il braccio leggermente sollevato, e con la sinistra regge un volume, sulle cui pagine ha appena vergato alcune righe. Il vescovo ha il capo ruotato di tre quarti e volge lo sguardo estatico verso l’alto, come rapito da una visione. Infatti, tra le nubi, nell’angolo sinistro della tela, in uno squarcio di cielo si staglia un tempietto circolare con cupola sorretta da colonne, al cui interno c’è un altare su cui arde una fiamma.

La tela in esame fu descritta sommariamente da Don Vincenzo Di Sabato, di felice memoria, nel suo libro “Storia ed arte nelle chiese e conventi di Lucera” (Foggia, 1971). L’autore, a pag. 136, cita due tele che a quel tempo si conservavano nella sacrestia del Duomo: una dedicata al beato croato e l’altra al santo africano. Alla pagina seguente c’è anche la foto della tela in oggetto con questa didascalia: “La tela di S. Agostino”.

Tela (Di Sabato)Tralasciando la descrizione della seconda tela (ora custodita presso il Museo Diocesano), in cui appare chiaro che il soggetto rappresentato sia proprio il Beato Kazotic (con mitra, pastorale e teschio), di quella che ci riguarda si dice quanto segue:

“Sant’Agostino d’Ippona, dottore della chiesa, ha in mano una penna d’oca con la quale stende i suoi scritti pieni di profonda dottrina.
Versi endecasillabi a rime alternate.

Occhi profondi scintillano in fronte

Al gran dottore dell’affrica gente.

Da penna d’oca stillano ben pronte

Le gocce d’oro di sua eccelsa mente.

Se si osserva l’abito con cui il vescovo è rappresentato, si nota subito che non corrisponde a quello tipico dei domenicani. Questi, infatti, indossano: sopra, la tunica, lo scapolare e la mozzetta con il cappuccio bianchi; sotto, la cappa e il cappuccio neri.

A sciogliere ogni dubbio sull’identità del soggetto è il testo dipinto sul volume che regge con la mano sinistra, visibile alla rovescia per chi osserva la tela. Sembra quasi che l’anonimo pittore abbia voluto mettere alla prova l’osservatore, non senza offrirgli un elemento utile per identificare senza ombra di dubbio il santo vescovo.

Il codice dipinto nella tela
Il volume dipinto nella tela

Se si ruota l’immagine e si ingrandisce il particolare del volume, con un po’ di sforzo visivo, si riesce a decifrare quanto è scritto sulle sue pagine:

“Gratia Dei semper est bona, et per hanc fit ut sit homo bonae voluntatis, qui prius fuerat voluntatis malae. Per hanc etiam fit ut ipsa bona voluntas, quae iam esse coepit, augeatur, et tam magna fiat, ut possit implere divina mandata”                  (“La grazia di Dio è sempre buona, e per mezzo di essa avviene che sia uomo di buona volontà quello che prima era stato di volontà cattiva. Sempre per mezzo di essa avviene anche che la stessa volontà buona, quando ormai ha cominciato ad esistere, si accresca e diventi tanto grande da essere in grado di adempiere i precetti divini”).

Il testo in latino è tratto dal “De Gratia et libero arbitrio” (Lib. Unus, cap. 15.31: Qui) di S. Agostino d’Ippona (Tagaste, 354 – Ippona, 430), e manifesta le reali intenzioni del pittore, il quale voleva proporci come soggetto l’autore di quel brano, e non di certo un B. Kazotic “copista” di un’opera di S. Agostino!

Di recente, però, la paternità del brano agostiniano è stata attribuita ad un certo Padre Maestro Lorenzo Stramusoli da Ferrara (O.F.M. Conv.). Deve essere senz’altro sfuggito a chi ha fatto il suo nome, per tentare di datare la tela, che lo Stramusoli si era solo limitato a riportare una raccolta di sentenze altrui, con i dovuti rimandi bibliografici, senza alcuna pretesa di volersene attribuire la paternità. Infatti, nella sua opera intitolata “Apparato dell’eloquenza” (tomo II, Padova, 1700, pp.716-717) elenca una serie di “Sententiae Catholicorum”, di cui alcune prese in prestito proprio dal “De Gratia et libero arbitrio”, tra cui c’è anche la prima parte del brano trascritto:

“30. Gratia Dei semper est bona, & per hanc sit, ut sit homo bonae voluntatis, qui prius fuit voluntatis malae. idem, c. 15 (Idem sta per “S. Aug. de Gratia et libero arbit.”: Qui).

Dulcis in fundo, a riprova di quanto detto finora, aggiungo anche che a Palermo, tra alcune tavole dipinte poste sotto la volta della chiesa agostiniana di S. Gregorio Papa (Qui), ce n’è una di forma circolare di autore anonimo, detto il “Maestro Palermitano”, databile al 1750-1770. In essa è rappresentato proprio S. Agostino, vescovo e dottore della Chiesa, che, tranne per alcuni dettagli, appare identico al nostro. A segnalare l’identità del santo il pittore aggiunse anche questa didascalia: “D.P.N. AVGVSTINVS EP.

Tavola di S. Agostino d'Ippona (Chiesa di S. Gregorio Papa - Palermo)
Tavola di S. Agostino d’Ippona (Chiesa di S. Gregorio Papa – Palermo)

Quindi, data l’evidenza delle prove addotte in favore della tesi del benemerito mons. Di Sabato –già dal sottoscritto portate a conoscenza dell’attuale parroco della Cattedrale Don Ciro Fanelli, che ha appreso con stupore ed interesse la notizia- ritengo che si sia fatta pienamente luce sulla questione, smentendo definitivamente l’attribuzione tradizionale.

Ristabilita la verità, resta comunque sempre valida la raccolta fondi avviata dal FAI per il restauro dell’opera d’arte, che va incoraggiata e portata a compimento. La delusione nell’apprendere che la tela da restaurare non ritragga il B. Agostino Kazotic, come si dava per scontato, dovrebbe essere ora compensata dall’entusiasmo di averne scoperta una di un certo pregio di S. Agostino d’Ippona.

Walter V.M. di Pierro

 

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