Storia & Archeologia

Il battistero del Duomo di Lucera: lo stemma di una nobile famiglia e l’identità del committente

Una delle più belle testimonianze dell’arte rinascimentale nella nostra città è il monumentale battistero del Duomo angioino che, dagli storici locali, è genericamente datato al  XV secolo. E’ sito nei pressi dell’ingresso alla navata sinistra, addossato alla parete, tra l’artistico ciborio quattrocentesco e l’accesso ad uno dei due ex porticati laterali esterni, i quali vennero poi inglobati nelle mura di quattro cappelle, a loro volta demolite nei discutibili lavori di restauro del 1878-1892.

Il battistero si presenta come un mirabile tempietto lapideo alto 8,34 m., composto da quattro colonne scanalate con artistici capitelli, collegate tra loro da archi a tutto sesto con pennacchi, pilastrini angolari e cornici finemente scolpiti. Sulle colonne si innesta un tamburo costituito da due ottagoni, di cui l’ultimo rientrante, disposti l’uno sull’altro in maniera asimettrica, decorati ciascuno da otto pannelli traforati a motivi geometrici e floreali. Il tutto è sormontato da una cupola piramidale ottagona, in cima alla quale troneggia una scultura su piedistallo decorato a fogliami. All’interno del tempietto, al centro di un ripiano contornato di blocchi in breccia rosata e con pavimento dipinto a scacchi, c’è il fonte battesimale vero e proprio. E’ costituito da una vasca in pietra alluvionale levigata, sostenuta da un basamento cilindrico in ocra rossa, racchiusa da un involucro ligneo barocco con cupola a bulbo.

Il battistero

In origine, stando a quanto scrive l’avv. Emmanuele Cavalli [1], il battistero era posto al centro della navata sinistra e sarebbe stato trasferito nell’attuale collocazione nel ‘500. L’avv. Giambattista Gifuni [2] riferisce che ciò avvenne per opera dell’aretino Pietro de Petris, vescovo della diocesi lucerina dal 1553 al 1580. Si possono solo fare delle ipotesi sui motivi di questo trasferimento. E’ probabile che il battistero fosse d’intralcio alle processioni liturgiche del clero e al transito dei fedeli che volessero raggiungere l’altare di S. Maria Patrona. Inoltre, è da tener presente che l’afflusso dei fedeli aumentava durante gli anni giubilari e il giovedì santo, per la cosiddetta ‘visita ai sepolcri’, dato che chi desiderava lucrare le indulgenze doveva attraversare necessariamente la navata sinistra entrando dall’ingresso esterno detto ‘porta delle indulgenze’ o ‘porta del battistero’. Non è da escludere anche l’ipotesi avanzata dal sacerdote Don Gaetano Schiraldi [3], e cioè che il de Petris avesse come riferimento l’opera del Card. Carlo Borromeo, “Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae libri duo” (1577), l’unico manuale che, nel periodo successivo al concilio tridentino, si occupò anche di architettura sacra esercitando grande influenza sull’edilizia ecclesiastica. In particolare, nel libro I, al cap. XIX si danno istruzioni su dove posizionare il battistero: ”Se è all’interno della chiesa, esso sarà collocato in un apposito sacello piuttosto vicino alle porte d’ingresso… Può occupare una cappella laterale, l’unica che può trovarsi nella prima campata, o uno dei due primi intercolumni, opportunamente recintato da inferriate e colonne.” [4]

Tornando al monumento, esso si presenta privo di una qualsiasi iscrizione che attesti quando e chi l’abbia commissionato. L’unico elemento interessante è costituito da tre scudi lapidei, posti intorno al basamento di sostegno della vasca, riportanti un medesimo stemma detto in araldica ‘spaccato’, che finora non è mai stato oggetto d’indagine. Esso presenta nella metà superiore un mezzo leone rampante in rilievo; in quella inferiore, tre stelle a sei punte disposte due su una. Grazie all’ausilio dell’Araldica è possibile riconoscere in esso l’arma della nobile casata dei Dentice, del ramo delle Stelle.

I Dentice

La famiglia Dentice era originaria di Amalfi, e si pensa discenda da un certo Sergio soprannominato ‘Dentice’, che fu duca di quella città nel sec. X. Altri, invece, la ritennero originata da una famiglia del patriziato romano, la ‘gens Dentata’, i cui discendenti si sarebbero rifugiati ad Amalfi durante le invasioni barbariche. Trasferitasi prima a Sorrento, e poi a Napoli, questa famiglia godette in entrambe le città gli onori del patriziato, come pure a Sorrento e Capua. Feudataria fin dai tempi degli Svevi, fu aggregata a Napoli al Seggio di Capuana. Agli inizi del secolo XIV si divise in due linee che, dalle caratteristiche dei rispettivi stemmi, si dissero dei ‘Dentice del Pesce’ (ora Dentice Massarenghi, principi di Frasso) e dei ‘Dentice delle Stelle’ (poi duchi di Accadìa). Il casato ebbe il massimo del suo splendore nel periodo angioino, e ai tempi di Renato d’Angiò un miles Antonio Dentice era castellano della rocca lucerina, come attesta un diploma da Lucera datato 21 febbraio 1440.

La casata dei Dentice possedette edifici a Napoli, terre e casali nei dintorni, feudi in Campania, in Puglia e in Basilicata, per poi subire un forte declino nel periodo aragonese. Ascritta all’ordine di Malta, nel 1565, tra XVI e XVII secolo ebbe grande lustro per le imprese militari, per le attività artistiche e letterarie, nonché per l’impegno politico dei suoi discendenti. E’ stata insignita dei titoli di Principe, Duca e Conte, che in parte si estinsero nei vari rami, e in parte si conservano ancora, come quelli di principi di S. Vito dei Normanni e principi di Frasso. Attualmente, i diretti discendenti risiedono a S. Vito dei Normanni, nel castello di proprietà della famiglia.

Stando ad antichi documenti che il nobile Francesco Dentice mostrò a Carlo Padiglione (1827-1921), grande studioso di araldica [6] , in passato gli esponenti del ramo delle Stelle avevano usato uno stemma che presentava il leone nascente d’azzurro, in campo d’argento, e al posto dei plinti (simboli di antica e generosa nobiltà, di costanza e fermezza), una bordura dentata d’argento e d’azzurro, forse per tramandare la presunta discendenza dalla gens ‘Dentata’. Lo storico e genealogista Vittorio Spreti (1887-1950), nel vol. II delle sue ‘Appendici all’Enciclopedia storico-nobiliare italiana’ (6), riporta uno stemma un po’ diverso: “leone rampante nascente dalla troncatura di rosso su oro, bordura inchiavata di azzurro sulla prima troncatura ; 3 stelle a 6 raggi di oro su azzurro in basso, poste 2 su 1.” [7]

Differenze a parte, l’attribuzione ai Dentice delle Stelle del triplice stemma del battistero sembrerebbe, dunque, confermata.

Ora, se si considera la cronotassi dei vescovi lucerini, emerge che proprio un esponente del ramo delle Stelle resse la nostra diocesi nel ‘400, per circa 26 anni. Parrebbe più che plausibile identificarlo come l’anonimo committente del nostro battistero.

Ladislao Dentice, vescovo lucerino (1450-1476) [8]

Il vescovo Bassustachio II [9] de Formica di Termoli (forse una contrazione di ‘Bassus’ ed ‘Eustachius’ ?), eletto nel 1422, resse la chiesa lucerina tra la fine della dinastia angioina e l’avvento di quella aragonese. Durante il suo episcopato furono accorpate alla diocesi lucerina quelle di Fiorentino (c. 1410) e di Tertiveri (1425). E dal 1439 al 1473 anche la diocesi di Civitate fu unita ad essa, “aeque principaliter”, da papa Eugenio IV.

Quando nel 1450 Bassustachio II morì, il capitolo della cattedrale di Lucera avrebbe dovuto provvedere all’elezione del suo successore, come da statuto; ma, a quanto pare, sorsero dei problemi. Bartolomeo Chioccarello (1575-1647), ricercatore attento ed archiviario della Regia Camera della Sommaria di Napoli, nel suo Indice Compendioso [10] di tutte le scritture riguardanti la regia giurisdizione del regno scrisse che Antonio Angeli [11], canonico e vicario generale dell’arcivescovo di Napoli Gaspare di Diano, aspirava a divenire vescovo di Lucera, contro la volontà di re Alfonso che gli preferiva Ladislao Dentice delle Stelle, un chierico napoletano di nobile famiglia di circa 23 anni. Quando il re seppe che il vicario di Napoli cercava di impedire al suo favorito di occupare la cattedra di S. Basso, il giorno 22 maggio del 1450, scrisse due lettere. La prima indirizzata allo stesso Angeli, in cui gli ricordava che l’elezione del vescovo di Lucera era compito del capitolo cattedrale, a cui faceva seguito la richiesta dell’assenso regio; pertanto, gli intimava di non impicciarsi di quella chiesa, su cui esercitava il suo legittimo diritto di patronato. La seconda lettera la indirizzò al papa Niccolò V, rammentandogli che papa Benedetto XI, con la bolla del 26 novembre 1303, aveva concesso ai re di Napoli il privilegio di legittimare il nuovo eletto per la diocesi di S. Maria di Lucera, prima che fosse confermato. E così era sempre avvenuto fino a quel tempo. Il re precisava, tra l’altro, che per espressa volontà del capitolo aveva presentato Ladislao Dentice, fermamente intenzionato ad ottenere quell’episcopato, e supplicava il sommo pontefice di concederlo a lui solo e non ad altri, tanto meno al vicario di Napoli. A quanto pare, però, il papa aveva già provveduto ad eleggere Antonio Angeli, il 15 maggio, ignorando la bolla del suo predecessore, che riconosceva al re particolari privilegi sulla chiesa lucerina. Solo che, dopo poco meno di due mesi, e probabilmente dietro le insistenze del re, il vescovo eletto Antonio Angeli, il 1 luglio dello stesso anno fu trasferito alla diocesi di Potenza. Ladislao Dentice riuscì così a realizzare i suoi propositi. Pare che, per la sua giovane età, gli fosse concessa la diocesi lucerina prima solo in commenda. Secondo lo storico francescano padre Eubel (1842-1923) ne sarebbe stato amministratore per cinque anni, prima di divenirne pastore ordinario. [12]

Il vescovo Ladislao, tra l’altro, “ut decentius sustentari valeat”,chiese a papa Callisto III che gli fosse concessa in commenda anche l’abbazia basiliana di S. Elia di Galatro, in diocesi di Mileto, che ricevette prima del 4 giugno del 1455 [13].

Il Dentice si distinse, in particolare, per aver fatto restaurare ed ampliare il vecchio episcopio lucerino danneggiato dal terribile terremoto del 4 dicembre 1456, come ricorda   il del Preite: “Questo illustre prelato attese con somma diligenza al governo della sua Chiesa, e finita la perigliosa guerra tra Renato et Alfonzo, attese a magnificare, et abbellire il Palaggio Vescovale, il quale n’era quasi andato in ruina, oltre che era di picciola forma, secondo comportava la vera simplicità e candidezza dell’animo di quelli antichi prelati, solamente intenti all’edificatione dello Spirito; Ladislao dunque l’ampliò, e ridusse in meglior forma, che non era prima, e sopra la porta, che hora corrisponde al giardino fe’ scolpire queste parole in una lunga pietra viva:

SANCTVS DEVS – SANCTVS FORTIS – SANCTVS IMMORTALIS

MISERERE LADISLAI DENTICE EPISCOPI MCCCCLVIII

– INDICTIONE VI – [14]

Stemma dei Dentice delle Stelle (da ‘Italia Sacra’ di F. Ughelli)

Morì nel 1476, e fu sepolto accanto a suo padre Giovanni nella chiesa abbaziale di S. Maria di Ferraria (diocesi di Teano), ormai da tempo in rovina (vedi), di cui era stato primo abate commendatario.

Walter V. M. di Pierro

Note:

 [1] E. Cavalli: Il Real Duomo di Lucera, e sue vicende, in Tre critiche digressive per la storia della città di Lucera  (Lucera, 1888).

 [2] G. Gifuni: Origini del ferragosto lucerino,  II ediz., Lucera 1933, p. 83n .

[3] G. Schiraldi: Rinascimento nel Duomo: il Ciborio e il Battistero del Duomo di Lucera, p. 159 in  La Capitanata. Quadrimestrale della Biblioteca Provinciale di Foggia, Anno XLVII (2010) n° 24.

 [4] C. Borromeo: Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae libri duo, trad. it. a cura di Zelia Grosselli, voll. 2, Milano 1983, lib. I, cap. XIX.

[5] S. Mazzella: Descrittione del Regno di Napoli, Napoli, 1601, pag. 623.

[6] C. Padiglione: Delle livree, del modo di comporle e descrizione di quelle di famiglie nobili italiane, Napoli, 1889, CCLXXV.

[7] V. Spreti: Appendici all’Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano, 1935-36, vol. II, p. 610.

[8]  F. Ughelli: Italia Sacra sive de Episcopis Italiae et insularum adjacentium, Ed. II, Tomo VIII, Venezia, 1721, pp. 321-322.

[9]  J, Perarnau i Espelt: Documentació papal relativa als Països Catalans en quatre registres del sec. XV de l’Archivio Segreto Vaticano (“…venerabili fratri nostro Bassustachio, episcopo Lucerino, tunc in Romana curia residenti…”, Roma, 12 febbraio 1445/1446), dalla rivista Arxiu de textos Catalans antics , 1996, n° 15, p. 448.

[10] B. Chioccarello: Archivio della Reggia Giurisdizione del Regno di Napoli Ristretto in Indice Compendioso ecc, Venezia, 1721, Tomo VII, Titolo III. Del Capitolo della Città di Lucera, p. 137.

 [11] G. Sajanello: Historica monumenta Ordinis Sancti Hieronymi Congregationis B. Petri de Pisis, Editio Secunda, Tomo II (p. 479: “…egregio Decretotum Doctore Dom. Antonio Angeli Canonico Neapolitano & Archiepiscopi Vicario Generali…”), Roma, 1760.

[12] C. Eubel : Hierarchia Catholica Medii Aevi vol. II, Sumpt. et typis Librariae Regensbergianae, Monasterii, 1914, p. 181.

[13]  A. Chalkéopoulos: Le Liber Visitationis d’Athanase Chalkéopoulos (1457-1458). Contribution à l’histoire du monachisme grec en Italie méridionale, a cura di Marie-Hyacinthe Laurent, Studi e Testi vol. 206, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1960.

[14]  R. Del Preite: Breve descrittione della Città di S. Maria prima detta Luceria per historia dalla sua origine, P. 7, f. 83/74 v., ms. del 1690 c., c/o Bibl. Com. di Lucera.

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