Ipotesi e spunti sulla Chiesa di San Francesco - Lucera: memoria e cultura
Antropologia & Arte,  Storia & Archeologia

Ipotesi e spunti sulla Chiesa di San Francesco

L’ attuale chiesa- santuario di San Francesco Antonio Fasani, che tutti possiamo ammirare di fronte il nostro tribunale costruito con il reimpiego di copioso materiale edilizio desunto dal palatium di Federico II, fu fatta costruire, secondo la storiografia tradizionale, da Carlo II d’Angiò in onore di San Francesco d’Assisi , dopo la cristianizzazione della precedente Luceria Sarracenorum, eretta in 4 anni: dal 1300 al 1304.

La chiesa presenta, a quanto pare, la sua originale disposizione mentre il convento, disposto a sinistra dell’abside, dopo la soppressione degli ordini religiosi possidenti (1809), divenne inizialmente sede dell’Archivio e della Camera notarile e poi inglobato, fatta eccezione di alcuni locali, nel Carcere giudiziario.
Dopo intemperie e terremoti (prima metà del 1700), la chiesa venne restaurata in stile barocco, anche e sopratutto per l’interessamento del Padre Maestro, frate francescano lucerino, che fece completamente imbiancare ed intoncare l’intera chiesa, nascondendo dipinti ed elementi decorativi vari (di sicuro molto antichi, risalenti alla genesi stessa della chiesa) trasformando quella che era un trionfo di colori e di scene minuziosamente dipinte, in uno sterile ed uniforme bianco. Successivamente, precisamente tra il 1936 e il 1943, altri restauri “rispristinarono” quello che sembra dover essere lo stato originale, e con la rimozione di alcuni intonaci e parti del bianco che ricopriva interamente la chiesa riemersero alcuni dipinti ed elementi nascosti dal precedente intervento.

Una delle più grandi perdite che questa gemma architettonica poteva subire è proprio l’offuscamento (derivato dall’intonacatura) delle sue originali pitture parietali: tramite lo strato originario dei dipinti, analizzandone elementi peculiari del periodo quali abbigliamento, stile pittorico, e pigmenti adoperati per la realizzazione, avremmo potuto dare una datazione precisa e, quasi, inequivocabile dell’intera struttura.  Purtroppo a causa della sovrapposizione, nei secoli, di varie stratigrafie di affreschi e di rimaneggiamenti vari (da leggersi anche come “infelici” restauri sulle pareti dell’abside centrale) che hanno falsato e rimescolato le varie facies pertinenti ad un unico periodo (esempio: aureole di strati più antichi, che si sovrappongo ad affreschi di periodi più recenti, alcuni elementi  branditi da soggetti, trasformati in altri) risulterebbe anche difficile un’analisi micropigmentale. Ma inerentemente questo discorso rimandiamo ad un altro futuro articolo.

Ma l’oggetto del presente scritto è uno degli elementi architettonici/decorativi che stonerebbero nell’ambito della datazione ufficiale dell’intero complesso (o almeno di parte di esso), ovvero del portale.

La storia dell’arte ci insegna ormai da molto tempo, che ogni epoca ha i suoi aspetti figurativi peculiari.  E’ risaputo, difatti, che ciascun periodo presenta una sua propria codificazione in fatto di morfologia, simbolismo e colori nonchè di tecnica di riproduzione di taluni elementi che, dal reale, confluiscono su resa grafica con effetti più o meno realistici.

Pensiamo al famoso rigido movimento proteso in avanti dei kouroi greci (mutuato a sua volta dalla scultura egizia ), che fu il primo stadio evolutivo che sfociò nell’elegante realismo sinuoso della statuaria di epoca ellenistica  e più tardi di quella romana, alla conseguente “stilizzazione” (oserei dire meglio “essenzializzazione” dei significati nel visuale) messa in atto dal tardoantico, dopo l’introduzione del cristianesimo,  poi portato avanti per tutto il medioevo. Insomma ogni epoca ha avuto i propri tratti simbolici e pregnanti . Non solo: l’arte e le sue manifestazioni erano utilizzate (e lo sono tutt’ora) anche e sopratutto a fini di propaganda dei vari poteri.

Tenendo bene a mente questo e analizzando, quindi, il portale della chiesa di san Francesco, ci accorgiamo che, a dispetto della sua ufficiale ed oramai accettata datazione ,emergono alcuni dettagli (se di dettagli si può parlare) che stonano in maniera evidente con i tratti simbolici di epoca angioina.
L’elemento più lampante, e che sinceramente lascia interdetti, si trova nell’angolo superiore sinistro dell’entrata della suddetta chiesa: un aquila, mutila della testa, che campeggia ancora sui blocchi di pietra che compongono l’architrave [Fig.1].

Figura 1 – Aquila in pietra sull’architrave di San Francesco

E’ strano che un elemento come questo, difficilmente riscontrabile nell’ambito dell’arte monumentale e della statuaria angioina, sia presente proprio su un edificio di tale pertinenza cronologica.

Sempre ritornando al discorso della propaganda insita nell’arte, possiamo accorgerci che l’aquila è invece ampiamente documentata nell’ambito delle evidenze archeologiche/strutturali di epoca duecentesca, in particolare scaturita dal simbolismo del Sacro Romano Impero.

Di contro in altri edifici, ad esempio di epoca sveva, è sovente (e scontata) la presenza di questo simbolo del potere imperiale,mutuato dall’epoca dei grandi cesari romani, che veniva apposto quasi come firma del committente e per ribadire la presenza di quel dato potere sul territorio.

Figura 2 – Collezione loeser, arte romanica, capitello con aquila, prima metà del XIII secolo
Figura 3 – Aquila .Blocco monolitico. Particolare dell’Ambone della Cattedrale. Sec.XIII
Figura 4 – Cattedrale di Bitonto, aquila a decorazione dell’ambone

Aggiungiamo a questo anche un altro particolare che stona in tale armonia di elementi floreali dei capitelli (anch’essi di chiara derivazione romanico/duecentesca): lo stemma angioino che campeggia al centro del portale stesso.

Figura 5 – Stemma presunto angioino. Chiesa San Francesco

In tutta sincerità, confrontandolo con stemmi angioini coevi, salta subito all’occhio la strana forma dei gigli, del tutto irregolare, e non conforme al resto delle attestazioni di stemmi dei d’Angiò. Altro elemento lampante è la rastrellatura nella sommità dello scudo composta da 6 punte. Ma se il committente di tale opera era Carlo II d’Angiò non doveva contenere le consuete 3 punte di rastrello? Potrebbe spiegarsi come la trasformazione di un antecedente stemma (non sappiamo appartenuto a chi), in quello “nuovo” sbozzato in maniera anche abbastanza grossolana (con aggiunte magari anche posteriori al  XIV secolo)?

Figura 6 – Stemma angioino a Napoli
Figura 7 – Stemma angioino. Cattedrale Lucera

Tanti sono gli elementi di questa costruzione che portano a pensare ad una sua ridatazione, o quantomeno a rivederne alcuni aspetti, non presi in dovuta considerazione o del tutto ignorati. Sarebbe d’uopo un’indagine archeologica seria, supportata da metodi d’analisi specifici e da dati adeguati.

Una storia a tratti celata dal tempo e dalle azioni dell’uomo potrebbe celarsi in alcuni particolari architettonici ed artistici di questo grande e stupendo libro di pietra che è Lucera.

Michele Giardino

BIBLIOGRAFIA

M.S. Calò Mariani, L’arte del Duecento in Puglia, Torino 1984.

F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli (1266-1414) e un riesame dell’arte nell’età fridericiana, Roma 1969.

C. Bozzoni, Saggi di architettura medievale: la Trinità di Venosa, il Duomo di Atri, Roma 1979.

F. Aceto, Verso la cultura artistica federiciana, in I Normanni, popolo d’Europa 1030-1200, catalogo della mostra (Roma, 1994), a cura di M. D’Onofrio, Venezia 1994, pp. 331-335.

Comunicazione e propaganda nei secoli XII e XIII, A cura di Rossana Castano, Fortunata Latella e Tania Sorrenti, Atti del convegno internazionale, Messina, 24-26 maggio 2007

Federico II. Immagine e potere, a cura di M.S. Calò Mariani-R. Cassano, Firenze 1995

Monumenti svevi in Sicilia, S. Bottari, edizioni Clio, 2001

Comunicazione e propaganda nei secoli XII e XIII, A cura di Rossana Castano, Fortunata Latella e Tania Sorrenti, Atti del convegno internazionale, Messina, 24-26 maggio 2007

V. Pace, Pittura e miniatura sveva da Federico II a Corradino: storia e mito, in Federico II e l’Italia. Percorsi, luoghi, segni e strumenti, catalogo della mostra (Roma, 1995-1996), a cura di C.D. Fonseca, Roma 1995, pp. 103-110.

4 Commenti

    • GuglielmoDeParisio

      Ma in quel periodo immagino fosse importantissimo riprodurre lo stemma identico a quello di Napoli, considerando inoltre che tutti gli altri stemmi angioini sono stati perfettamente eseguiti non credo che non si possa parlare di errore o manomissione. Soprattutto guardando il rastrello. Per non parlare poi degli elementi anteriori del portale e lo stemma laterale che richiama molto lo stile del XIII-XIV secolo (presente anche a San Domenico, tra l’altro)

      • Michele Giardino

        massimo tu sai benissimo, come credo, che l’artista che lo eseguiva non era il primo scultore che capitasse a tiro, ma erano mastri scultori assoldati dal re/regno/imperatore, con PRECISI canoni realizzativi, predisposti dal signore/autorità etc. Dovevano attenersi esclusivamente alle forme plastiche richieste.

        E’ come se oggi si dovesse realizzare uno stemma della repubblica italiana su un edificio e lo si realizzasse storpio o non corrispondente al vero.

        A tal proposito ti consiglio una lettura preziosa che potrà aiutarti a capire:

        Comunicazione e propaganda nei secoli XII e XIII, A cura di Rossana Castano, Fortunata Latella e Tania Sorrenti, Atti del convegno internazionale, Messina, 24-26 maggio 2007

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