Storia & Archeologia

La zecca medievale a Lucera: un mito da sfatare?

Ci accingiamo a vestire i panni di Adam Savage e Jamie Hyneman, i conduttori del famoso programma in onda su Discovery Channel “Mythbusters”, in cui i due americani mettono alla prova la validità di numerose leggende urbane e miti. Quello di cui ci occuperemo riguarda un aspetto della storia ormai celeberrima della Luceria Saracenorum, la prediletta colonia musulmana insediata da Federico II di Svevia a partire dal 1222/1223 in Capitanata. Esimi studiosi hanno indagato sugli usi, costumi e finanche l’urbanistica dell’insediamento (1) che  visse alterne vicende nei quasi 80 anni della sua esistenza, fino al tragico epilogo dell’agosto 1300 per mano di re Carlo II d’Angiò.

Ora, tenteremo di capire se la città sveva è stata sede di una zecca, come molti sostengono, oppure no.

Tra i favorevoli alla sua esistenza abbiamo un buon numero di studiosi e semplici cultori di storia. Citiamone i più noti: Giambattista d’Amelj (2), Benvenuto Colasanto (3), Giambattista Gifuni (4), Tonino Del Duca (5) e Pasquale Zolla (6), tutti lucerini. Poi, Carl Arnold Willemsen (7), Giovanni Magli (8), Renato Russo (9), Carlo Fornari (10) e Vito Salierno (11). Su una posizione più prudente sono Raffaele Licinio e Massimiliano Monaco, sebbene in passato si fossero espressi più a favore che contro (12)(13).

Sul versante opposto, abbiamo tra i contrari una sparuta minoranza: Pietro Egidi (14), Lucia Travaini (15), Philip Grierson (16) ed Eduardo Gemminni (17). Ci chiediamo: ha forse ragione la maggioranza? Andiamo ad esaminare quali sono le fonti, date ormai per acquisite, su cui i più fondano l’esistenza della zecca a Lucera, istituita secondo loro dallo stesso Puer Apuliae, e che pare abbia coniato monete anche sotto i suoi successori.

Ecco cosa ci dice in merito il barone Giambattista d’Amelj, autore di una monumentale quanto farraginosa storia della città dalle sue origini fino al ‘700:

“Pare che nulla mancasse in quei tempi nella città di Lucera, e che l’Imperatore avesse avuto ogni cura per lo meglio delle industrie e delle arti, e che anche la Zecca Imperiale vi fosse. Con rescritto del 1240 datato da Viterbo diede ordine perchè si fossero sodisfatti i soldi ai Saraceni che coniavano i tarì, ai falegnami, ai fabbricanti di armi, ai custodi dei cammelli, ai guardiani degli orsi e delle jene, ed ai fabbri di ferro, e ad altri artisti che esercitavano i loro mestieri in Melfi, Canosa e Lucera.” (18)

Un rescritto imperiale, dunque, in cui si farebbe riferimento tra l’altro alla coniazione di monete d’oro dette tarì  o come venivano chiamate all’epoca ‘tarenus’ , dall’arabo tarī che significa “fresco” (di conio).

Troviamo il documento nell’ ”Historia diplomatica Friderici Secundi”, un’imponente raccolta di circa 3000 diplomi curata dallo studioso francese J.L.A. Huillard-Bréholles. Dunque, ora non ci resta che verificare se la fonte sia stata correttamente  interpretata dallo ‘storico’ lucerino.

Viterbii 21 februarii.
Mandatum ad Alexandrum, filium Henrici, pro dandis expensis magistris sarracenis, custodibus animalium et aliis laborantibus in Melfia, Canusio et Luceria.
(Regest. imper. Frider. II, fol. 72 verso; in edit. Carcan., p. 350.)

De mandato imperiale facto per dominum Johannem Morum scripsit Jacobus de Bantra:

Fredericus, etc., Alexandro filio Henrici, etc. Fidelitati tue precipiendo, mandamus quatenus magistris sarracenis, tarisiatoribus, carpentariis, magistris facientibus arma, custodibus camelorum, custodibus unche et tabaccorum, custodi vivarii et ceteris magistris qui tam de ferro quam de arcubus et aliis operibus laborant ad opus nostrum in Melfia, Canusio et Luceria, qui a T. de Brundusio expensas recipere consueverunt, secundum quod ab ipso recipiebant, easdem expensas et alia necessaria pro eisdem servitiis faciendis et custodiendis animalibus supradictis, pro se, discipalis, scuteriis et equitaturis eorum, sicut per dictum T. soliti sunt recipere, debeas exhibere, ut iidem in predictis servitiis nostris faciendis defectu expensarum excusationem aliquam non pretendant, et de hiis que dederis ab ipsis recipias apodixam.

Datum Viterbii, XII februarii, XIII indictionis. (19)

Ecco l’errore: il d’Amelj, o chi per lui, ha interpretato ‘tarisiatoribus’ come coniatori di tarì, non capendo che in realtà nel testo ci si riferisce a dei maestri intarsiatori, cioè a degli artigiani specializzati in una particolare lavorazione che consiste nell’inserire in una superficie lignea delle parti di legno di colore e qualità diverse, oppure materiali rari e pregiati come l’avorio, l’osso, la madreperla, allo scopo di ottenere dei particolari effetti decorativi nella realizzazione di cofanetti, cassoni nuziali, porte, mobili, ecc. Già il prof. Pietro Egidi aveva notato il fraintendimento in cui era caduto il d’Amelj e lo corresse:

“…’magistri tarsiatores‘ indubbiamente maestri di tarsìa, intarsiatori, e in nessun modo battitori di tarì, come altri credette;…” (20).

Confermano questa interpretazione sia la prof.ssa Travaini che il prof. Licinio.

Certo, errare è umano, ma a tutti coloro che continuano ad appoggiarsi all’autorità del d’Amelj, diciamo che è sempre meglio leggersi i documenti originali.

Dopo la fonte scritta, l’altro pilastro su cui si fonda la convinzione dell’esistenza della zecca a Lucera è una fonte materiale. Vediamo di che si tratta. Il d’Amelj sostiene che in un anno imprecisato, probabilmente della prima metà dell’800, ci fu un interessante ritrovamento nei pressi del castello di Lucera. Lasciamogli la parola:

“Si sono rinvenuti in questo Castello terme, stufe, ed in particolare molti oggetti appartenenti al medio Evo, fra quali specialmente un conio per battere monete con la impronta di Re Manfredi e leggenda d’intorno.” (21)

Di questo importante reperto, che probabilmente finì per arricchire la collezione privata di qualche erudito  locale, si persero ben presto le tracce. Alla fine del  libro del d’Amelj troviamo una raccolta di tavole illustrative. Nella n° 9 appare il disegno di questo presunto conio monetale, che ci restituisce graficamente almeno la forma e l’impronta, se non le sue reali dimensioni. Si nota la figura di un sovrano incoronato che regge con una mano il globo crucigero e con l’altra lo scettro, seduto su di un faldistorio con protomi e zampe leonine. Intorno alla figura testè descritta si legge questa iscrizione: ‘MAYNFRIDUS’. Saremmo quindi davanti ad un conio monetale dell’ultimo degno erede di Federico II, Manfredi di Svevia, re di Sicilia dal 1258 al 1266 ?

Pare che la questione si risolva in favore dei sostenitori della zecca.

C’è però una considerazione importante da fare. Finora, non si conoscono monete, coniate sotto il regno di Manfredi, che rappresentino il sovrano seduto sul faldistorio con i simboli della regalità. Raffigurazione attestata invece già nei sigilli dei suoi predecessori, che costituivano i contrassegni indispensabili per convalidare i documenti scritti del tempo.

Eccone alcuni esempi:

Ed ecco l’immagine ricavata dal presunto conio lucerino, messa a confronto con un sigillo di re Manfredi:

Dalle immagini possiamo notare il ricorrere della medesima tipologia rappresentativa del sovrano, seduto su di un trono (Federico II) o su di un seggio privo di schienale (Corrado IV, Manfredi e Corradino) reggente i simboli del potere, e con intorno la legenda riportante il nome e i titoli regali. Quindi, l’oggetto trovato nei pressi del castello lucerino non sarebbe un conio monetale, ma bensì una matrice per sigilli, molto probabilmente realizzata in metallo, più o meno pregiato, che permetteva di stampare su cera un’impronta circolare in rilievo.

Ci teniamo inoltre a precisare che, a parte le zecche di Brindisi e Messina, a poca distanza da Lucera, esisteva un altro luogo deputato alla coniazione di monete voluto dal re Manfredi, colui che “biondo era e bello e di gentile aspetto”. A Manfredonia, infatti, gli studiosi convengono sul fatto che esistesse una zecca – di cui sono state trovate numerose monete – trasferita da Carlo I D’Angiò a Brindisi tra il maggio e l’agosto del 1266. I documenti che ne attestano il trasferimento enunciano che “Sicla nostri argenti quam de Siponto Brundusium providimus trasferendum” e “Sicla quae de Siponto Brundusium traslata fuerat”. (22)

La nostra indagine è giunta a conclusione. Allo stato attuale, a meno che non vi siano nuove scoperte, soprattutto archeologiche, possiamo sostenere che l’esistenza di una zecca sveva a Lucera è da archiviare fra i miti sfatati.

Walter V.M. di Pierro

Alessandro De Troia

NOTE

(1)  Fra tutti ricordiamo i lavori di:

P. Egidi, La colonia saracena di Lucera e la sua distruzione, Napoli, 1915, già in “Archivio Storico per le Province Napoletane”, XXXVI-XXXIX, 1911-1914

J. A. Taylor, Muslims in medieval Italy. The Colony at Lucera, Lexington Books, 2005

E. Antonacci Sanpaolo, Lucera, Topografia storica Archeologia Arte, Adda, 1999

(2) G. d’Amelj, Storia della Città di Lucera, Lucera, Tip. Scepi, 1861, pagg. 191-192

(3) B. Colasanto, Storia dell’antica Lucera, Lucera, Tip. Scepi, 1894, cap. XIV

(4) G. Gifuni, Lucera, II ed., S.T.E.U., Urbino, 1937

(5) T. Del Duca, Storia di Lucera fino ai nostri giorni, Lucera, Edistampa, 1981, pag. 16

(6) P. Zolla, Lucera – La storia, Lucera, Ed. Catapano, 2010, pag. 79

(7) C.A. Willemsen – D. Odenthal, Puglia, Terra dei Normanni e degli Svevi,
Ed. Laterza, Bari 1978, pag. 67

(8) G. Magli, Zecche e monete in Puglia durante la dominazione sveva, Bari, “Archivio Storico Pugliese”, XIII, 1960, pag. 186

(9) R. Russo, Federico II – Cronaca della vita di un imperatore e della sua discendenza, Barletta, Ed. Rotas, 1994, pag. 133

(10) C. Fornari, Federico II – Condottiero e diplomatico, Bari, Ed. Adda, 2000, pag. 61

(11) V. Salierno, I musulmani in Puglia e in Basilicata, Ed. P. Lacaita, 2000, pagg. 120-121

(12) R. Licinio, Lucera in “Federiciana” – Treccani(http://www.treccani.it/enciclopedia/lucera_%28Federiciana%29/)

(13) M. Monaco, Lucera nella Storia e nell’Arte, Lucera, CRSEC FG/30, 2009, pagg. 83-84

(14) P.Egidi, op. cit., pag. 42

(15) L. Travaini, Zecche e monete nello Stato federiciano, in Federico II e il mondo mediterraneo, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 146-164

(16) P. Grierson-L. Travaini, Medieval European Coinage with a Catalogue of the Coins in the Fitzwilliam Museum, Cambridge, XIV, Italy, 3, South Italy, Sicily, Sardinia, Cambridge, 1998

(17) E. Gemminni, Re Manfredi: una “busta” dell’Associazione culturale “Lugarah” per il 740° anniversario della morte, articolo pubblicato su “IL FRIZZO NEW” Lucera net journal, nella rubrica ‘Luceriae Historia’, (Lucera, 06.09.2006)

(18) G. d’Amelj, op. cit., pagg. 191-192

(19)  J.L.A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici Secundi, Parigi, voll. I-VI, 1852-1861

(20) P. Egidi, op. cit., pag. 42

(21) G. d’Amelj, op. cit., pag. 176

(22) I registri della cancelleria angioina, ricostruiti da R. Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani, vol. I° 1265-1269, II ed. Napoli 1963, pagg. 19-20

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